mercoledì 9 dicembre 2020

La lezione del castagno


 

Il CALENDARIO DELL'AVVENTO  proposto da Sciarada del blog  "Anima Mundi"è giunto quest'anno alla settima edizione.

Ecco il mio contributo.



Nel terreno dietro casa, mio padre coltivava il vivaio delle barbatelle, le talee della vite. La parte più a nord era la meno fertile: qui venne posto a dimora un castagno che, di anno in anno, divenne imponente e maestoso, tanto da produrre molti ricci, che ad autunno inoltrato cadevano a terra, liberando i prelibati frutti.

Alcuni anni fa, attaccato duramente dalla malattia, l'albero dovette combattere una durissima battaglia per la propria esistenza. Di autunno in autunno il tronco ed i rami non sopravvivevano ma, infaticabile, un nuovo virgulto spuntava e diveniva pianta. I frutti erano pochi, però sempre, nella giusta stagione, divenivano maturi.

 


 

Ora che l'epidemia che ha colpito questa specie è cessata, un nuovo albero è cresciuto e, di stagione in stagione, irrobustito, ed il raccolto è tornato discretamente abbondante.

Per  precauzione, sempre una nuova piantina spunta dalle radici, pronta a perpetuare, se necessario, quella preziosa specie.

In me rimane, peraltro, l' amaro rimpianto di quel vecchio albero piantato da mio papà,  e di quei ricci pungenti, dai quali, con attenzione, estraevo le castagne, con la gioia spensierata della mia gioventù.

Domani la nuova finestra verrà aperta da Negus, del blog "Ad nutum " .

 

La castagnata

di Giada Ottone


Buone feste a  tutte/i !!!


 . 

lunedì 9 novembre 2020

Un libro di Bruno Alberganti : "Cascina dell'Angelo"


 

Conosco da decenni lo scrittore valsesiano (di Borgosesia) Bruno Alberganti, che mi onora della sua amicizia. Ho apprezzato più volte le sue opere, compresi i racconti, meritatamente premiati in innumerevoli importanti premi letterari. Di recente mi sono dedicato alla lettura della sua ultima espressione letteraria, il volume "Cascina dell'Angelo", che ho gustato pagina per pagina. 

Un romanzo imperniato sulla figura di Carlo, proprietario di una cascina nel cuore della campagna vercellese, particolarmente vocata alla coltivazione del riso. 

Tra eventi misteriosi e talora inspiegabili e forse miracolosi, la narrazione si estende a tutta una vita, mettendo in risalto tanti buoni sentimenti, alternati ad una fine e dolce ironia. Sconfinando più di una volta nell'atmosfera magica e fatata della splendida, non lontana, località di Orta San Giulio. Si possono ritrovare situazioni e persone ( ad esempio le "mondine") scomparse dall'attuale quotidiano, ma non dal ricordo più forte del decorso del tempo. E...personaggi ben delineati ed a volte sorprendenti. Un bel libro, che sono contento di aver letto. 

 Bruno Alberganti, CASCINA DELL'ANGELO; Aletti Editore, 1^ edizione settembre 2020

sabato 22 agosto 2020

Quelle uova così preziose

 
 
 
Quell'anno frequentavo, se ben ricordo, la quarta ginnasio. Il professore di educazione fisica era uno studente universitario, arbitro di calcio e con una grande passione per la montagna. Quando faceva brutto tempo e la pioggia impediva gli esercizi all'aperto, lui proiettava in aula le diapositive della Valgrande, di cui sarebbe divenuto, negli anni a seguire, appassionato cantore. Appresi da lui una vicenda molto particolare, sospesa a mezzo fra storia e leggenda. 
Infuriava ancora la guerra quando il nuovo parroco arrivò a Cicogna , minuscolo borgo disperso fra i monti. Per alleviare le ristrettezze di quegli anni perigliosi e difficili, il sacerdote teneva alcune galline in un modesto pollaio, e ne vendeva le uova ("uova di Cicogna") al mercato di Intra. E fu proprio quella "C" maiuscola a salvare l'intrepido parroco da una condanna al processo. Venne acclarato che lui vendeva uova di Cicogna, e non uova della cicogna (con la "c" minuscola). 
La strada è stretta e alquanto impervia, ma vale, credo, la pena, dedicare uno sguardo a questo abitato ed ai monti e boschi che lo racchiudono e forse proteggono. 
 
 

domenica 5 luglio 2020

Margherita

Il paese d'Invorio conferma e talvolta, un pochino geloso, nasconde molti segni di un antico passato.
Fu dominio dei Visconti fino al 1559 (pace di Cateau Cambresis), quando il potere passò agli Spagnoli.
La targa di dedica della via ed un Palazzo rammentano Giovanni Curioni (1831-1887), ingegnere, deputato, socio dell'Accademia delle Scienze di Torino, benefattore.




Dietro le case del centro, spunta la parte più alta della Torre, che  ci ricorda la sposa di Francesco Pusterla, la bellissima Margherita, oggetto delle brame e delle non accettate pesanti attenzioni del cugino, il potentissimo Luchino Visconti.
Proprio per ordine di costui, lei, il marito, e persino i figli, vennero crudelmente giustiziati.
Qui le è tuttora dedicata la via Margherita Pusterla ed una leggenda (o forse storia), secondo la quale,  proprio nella torre di questo paese, Margherita fu murata viva e tuttora si sentirebbero, in taluni frangenti, i suoi disperati lamenti.



Un celebre romanzo storico, dovuto alla penna di Cesare Cantù, è dedicato alla terribile vicenda di questa Persona.

giovedì 4 giugno 2020

Il "Domodossola"

Un tempo  questa espressione veniva riferita alla linea ferroviaria  che, partendo dal capoluogo ossolano, passa tuttora dalle mie parti e prosegue poi  verso città più lontane.
In realtà, ne dovrei parlare al plurale, almeno per quanto mi riguarda.




Nei primi anni settanta ho praticato il treno diretto a Milano, Centrale o Porta Garibaldi a seconda degli orari. Alla stazione di Arona mi portava mio papà con la sua auto, quando frequentavo la facoltà di legge alla Statale di Milano.
Successivamente, per poco meno di quindici anni, il mio viaggio sulla strada ferrata, principiava alla stazione di Borgomanero e si concludeva a Novara, dove lavoravo. Una sera dimenticai sul treno il borsello, che conteneva l'abbonamento ferroviario e qualcosa d'altro.
La mattina seguente , col primo treno dell'alba, raggiunsi finalmente Domo, per riprendere ciò che era mio all'Ufficio Oggetti Smarriti (allora c'era) e per bermi  un caffè,  che, per la fretta, mi rovesciai maldestramente addosso: fu questo il mio primo impatto con la città.



Anni dopo volli dedicare qualche ora ad una visita : Piazza Mercato, Palazzo Silva, Collegiata dei Santi Gervasio e Protasio, chiesa di San Quirico.
Non rinunciai neppure in quell'occasione al caffè, badando bene, stavolta, di berlo per davvero.

mercoledì 22 aprile 2020

Hone Bard

All'inizio dell'autunno mio padre concedeva a se stesso e a noi qualche giorno di tregua nel faticoso lavorare nei campi. Aspettavo impaziente quei momenti, gli unici in cui potevo gioire per qualche gita con la nostra vegliarda automobile.
Fui io a scegliere la meta: il comune di Hone Bard, dopo aver consultato un vecchio libro di geografia.
Lasciammo il Piemonte per entrare in Valle d'Aosta. Qui subito ci accolse una sorpresa. Il libro era stato pubblicato prima della Guerra: il comune di Hone Bard non c'era più dal 1946, quando si era scisso nelle due entità di Hone e di Bard.
Oltretutto il forte di Bard era ancora di pertinenza militare e rimase tale fino, credo, al 1975. La sua mole imponente e scenografica la si poteva ammirare solo da lontano.
Non ci rimase che entrare nel paesino di Hone, accolti dall'antico ponte sulla Dora Baltea, duecentesco ma ricostruito nel XIX secolo. La vetusta chiesa di San Giorgio, il cui aspetto attuale risale peraltro al al XVIII secolo, ci attendeva con i mirabili affreschi degli Artari. Svettava l'imperioso campanile a dominio dell'intero abitato.
Proseguimmo poi, con un po' di apprensione per la resistenza dell' attempata automobile, verso il fiabesco proscenio del castello di Fenis, a pochi chilometri di Aosta.

Passarono decenni; il forte di Bard , divenuto proprietà della regione autonoma, venne restaurato ed aperto alle visite del pubblico. Ci andai, ovviamente, ad ammirare il prezioso gioiello che era divenuto, immaginando di portare, quantomeno nel cuore, il mio papà, ubicato da tempo lassù su una stella, ma che poteva, forse, vedere quel sontuoso monumento  per il tramite dei miei occhi, sia pure un po' miopi. 

 Un dipinto di

martedì 31 marzo 2020

Tra l'Oglio e l'Adamello: Edolo



… qualche anno addietro, quando si poteva viaggiare.


Il tempo tra scendere da un treno e salire su di un altro  è troppo breve per visitare una grande città. Sono a Brescia, nella sala d'aspetto della stazione a ricordare a me stesso quanto ho visto in altra occasione. Piazza della Loggia, Foro Romano, Broletto, Duomo Vecchio e Duomo Nuovo, Colle Cidneo. Era, quella volta,  un 2 di giugno di uno dei primi anni novanta; lì festeggiammo un felice anniversario di matrimonio.


Ma il treno parte veloce e corre lontano...mi sono noti i paesi ed i panorami del Lago d'Iseo, ai quali si sostituiscono le località della Valle Camonica. L'ultima fermata è ad Edolo, grazioso comune  di mezza montagna. Qui il torrente Ogliolo, partito dall'Aprica, chiude il suo percorso e confluisce nell'Oglio.



Il  paese è vegliato dalla vetta dell'Adamello e dominato dal campanile, il più elevato della Valle Camonica. Belle le due chiese: Santa Maria Nascente  (all'interno opere di Pietro Ramus) e San Giovanni Battista, con gli affreschi di  Paolo da Caylina.
Nei giardini, nelle aiuole, sui balconi, lo spettacolo variopinto di tanti fiori  sono  l'ultima immagine che mi rimane nella mente, prima di intraprendere la strada del mio ritorno.   


martedì 17 marzo 2020

Il ponte del diavolo

Un breve viaggio di qualche anno fa, quando  non esistevano restrizioni perché l'epidemia non c'era.

...qualche anno fa...

E' già mezza mattina, quando salgo sul treno alla stazione di Torino Dora.

Borgaro, Caselle (a fianco dell'aeroporto), Ciriè, Mathi, Balangero, parte in treno, parte in autobus, si susseguono, mentre i miei occhi tentano di immagazzinare più immagini possibili. La mia meta di giornata è Lanzo Torinese, che raggiungo un po' prima di mezzogiorno.
Non ho molto tempo a disposizione, e mi affretto a vedere la chiesa di San Pietro in Vincoli e la Torre.,  E' troppo lontano il Santuario di Sant'Ignazio, sulla vetta di un monte, per raggiungerlo a piedi. Sarà , mi dico con qualche convinzione, per una prossima volta.

Mi siedo su una panchina a mangiare il  panino alla bologna che mi sono prudenzialmente portato da casa, e non rinunzio ad un caffè al bar.
Subito dopo cammino, a passo spedito, verso il Parco del Ponte del Diavolo ed i fenomeni geologici delle Marmitte del Diavolo.
Mi colpiscono la  maestà, l'ardimento, l'ambiente naturale, la natura selvaggia attorno del vetusto ponte in pietra, a schiena d'asino.
La leggenda dice che che lo  ha costruito il principe delle tenebre in persona, in cambio del possesso del primo essere che vi sarebbe transitato.
Passò, peraltro, un cane, ed il diabolico costruttore dovette, pur adirato, accontentarsi.




Mi avvicino al ponte, lo guardo da vicino e dal basso, ammiro lo scorrere del fiume, le pietre adagiate nel suo letto, il contorno del bosco, degli alberi, delle erbe, dei fiori.
E giunge troppo presto il momento di intraprendere, "obtorto collo", il viaggio di ritorno.

giovedì 5 marzo 2020

Gianni Zaninetti: il valore del dialetto del mio paese.

Gianni è un amico da tantissimi anni. Impegnato nel lavoro, nella politica, nel volontariato e, come usa dire, nel "sociale" (nel senso più nobile del termine), non sapevo scrivesse bellissime poesie nel dialetto del nostro comune paese.
L'ho scoperto di recente: in occasione del settantesimo compleanno (io lo seguo a ruota a due anni di distanza) i suoi familiari hanno raccolto le più belle tra le sue liriche, scritte nel nostro idioma, in un prezioso volumetto "In sitanta ma in mia si tanti".



Leggendolo, ho scoperto tanti ricordi, tanti simboli che ci accomunano:  una centenaria pianta di gelso (la sua a Cureggio , la mia a Marzalesco) sopravvissuta all' allevamento dei bugatt - i bachi da seta -, che erano golosi delle sue foglie, ma non all'inquinamento dei tempi moderni. La linea ferroviaria che ha ospitato gente dagli inizi del Novecento fino a qualche anno fa,  quando è stata dismessa. Il gioco del pallone, nel campo sportivo dell' Oratorio, e tante altre tradizioni che ci uniscono idealmente  nel ricordo.

Perché è proprio qui che sta il punto: quel ricordo che ci permette di conservare i nostri valori, di tramandarli, e di racchiuderli in un prezioso scrigno che saprà superare le leggi del  tempo e gli scogli  della moda. Un manoscritto racchiuso in una bottiglia che forse, un giorno, qualcuno dei nostri epigoni ritroverà.
E sarà quello un giorno speciale, come quando riaffiora alla superficie la nodosa radice della nostra storia, la sorprendente immagine della nostra tradizione.


Gianni Zaninetti :  "In sitanta ma in mia si tanti", anno 2019.


 Gelso piangente a novembre
tecnica mista su carta (2009)

martedì 14 gennaio 2020

Benevento

Il tempo promette (e mantiene) solo pioggia quando parto, al mattino presto, da Roma Termini.
Un "frecciabianca" mi porterà, in meno di due ore, a Benevento, la città fondata, come narra la leggenda, da Diomede, eroe acheo della guerra di Troia.
Guardo dal finestrino il susseguirsi di paesi e città. Mi rimangono impresse Caserta, dove tanti anni fa ho visitato i giardini della Reggia con il proposito (mai realizzato) di tornarvi, e Teano, dove avvenne lo storico incontro riportato su tutti i libri di storia.



Arrivato a Benevento, la pioggia battente non mi vieta di visitare la chiesa di Santa Sofia, prestigiosa vestigia longobarda dell' VIII secolo. La ammiro con grande interesse, mentre sono in corso gli ultimi preparativi per una cerimonia, credo la celebrazione di un matrimonio.
Più avanti, apprezzo la maestà della Cattedrale di Santa Maria, ricostruita dopo la distruzione bellica del 1943.


La visita avviene pochi giorni prima di Natale; mi soffermo, quindi, per un attimo, ad ammirare qualche addobbo festivo.
Mi aspettano ancora il Museo del Sanno, e poi l'Arco di Traiano, simbolo della città, che troneggia a partire dal II secolo d.C.


Lieto di aver praticato, sia pure per qualche ora soltanto,  questa città, prima sannita, poi romana, longobarda, italiana.  Consapevole che, di qui, sono transitati millenni di storia.