giovedì 16 febbraio 2012

Vento

Abituato a volgermi indietro con l'ostinazione e la curiosità del bimbo Costantino, come dimenticare una persona buona e d'ingegno, che ha calpestato allora sentieri adiacenti ai miei?
Era stato un trovatello, fatto accudire ad una famiglia per essere "tirato grande", nel dopoguerra del primo conflitto. Gli avevano assegnato per cognome, come usava, quello di un fenomeno atmosferico.
Lui fu "Vento".
Fin da piccolo  laborioso e mite, chi lo allevò decise di affigliarlo, di farlo rimanere.
Negli anni cinquanta, riconobbi in lui un uomo, a modo suo, nobile,  che lavorava nei campi ma era anche un inventore geniale.
Tra le tante idee sviluppate, qualcuno gli attribuiva una realizzazione molto utile. Un gabinetto portatile, con le "spanogge", fatto con le melicacce del granoturco, da caricare in spalla e piazzare nel campo, per utilizzarlo al bisogno, tutelando la riservatezza del momento.
Se così fosse, Vento avrebbe creato la privacy quarant'anni prima di ciascun altro...

Ma il fulcro dei suoi esperimenti era volto a realizzare il "moto perpetuo".
E siccome mio papà diceva che lui era un genio, peccato non avesse potuto studiare, imparai ad osservare con discrezione i suoi tentativi ingenui, ma di grande intelligenza.


Vento cercò per tutta la vita sua madre, nell'unico modo che poteva, andando in chiesa, in solitudine, ad accendere una candela e a pregare.
Consapevole che, l'ultimo giorno, il suo desiderio sarebbe stato esaudito.