mercoledì 30 dicembre 2015

Capodanno al "Buco del Lupo"


C'ero andato parecchie volte da bambino con mio nonno Primo. A metà salita della collina, sovrastato da un arco di granito e protetto, più in alto, da un muraglione di sassi, c'era l'ingresso di una estesa galleria.
Qualcuno asseriva di averla percorsa per lungo tratto, prima di fermarsi di fronte ad una frana.
I vecchi dicevano che proseguiva per chilometri, in una ardita alternanza di discese e salite, fino alla Chiesa Parrocchiale di Santa Cristina.



Chiesa Parrocchiale di S. Cristina, Borgomanero (NO)

Altri, di più prudente eloquio, sostenevano che era solo una cavità dove refrigerare le vivande nei mesi d'estate.
Tutti chiamavano quell'ingresso il "Buco del Lupo".
Oggi non c'è più, chiuso dal crollo del muraglione (di cui rimane qualche traccia) e dall'intrico di rovi e robinie.



Su  quella collina ricca di storia, dove una volta c'erano un Castello ed una Chiesa dedicata alla Madonna, ora diroccati e ridotti a ruderi.



In quei luoghi dove signoreggiò il casato detto dei "Re Magi" e imperversavano i briganti "barbavari". Dove forse passò il "Caccetta", nobile spietato, protagonista di una vicenda simile a quella raccontata nei "Promessi Sposi".
Tanto che c'è chi sostiene che il  "Caccetta" fosse il vero Don Rodrigo, ed il servo "Da Martello", mio compaesano di secoli prima, il  fedele "Griso".
Di modo che quando al liceo ascoltavo annoiato ed assonnato i miei compagni che leggevano a turno alcuni passi del capolavoro di Manzoni, sognavo che la fatidica frase "Questo matrimonio non s'ha da fare !" l'avesse pronunciata uno del mio paese.


Ma queste sono altre storie.

venerdì 4 dicembre 2015

Ma noi lo chiamavamo " il Gesù Bambino"

 Questo post partecipa al Calendario dell'Avvento 
di Sciarada - Anima Mundi



Lo avevo scritto a scuola nella letterina di Natale. Ma anche su un secondo foglio destinato a casa mia, dato che nutrivo dei dubbi su chi portava effettivamente i doni.
Quell'anno, invece del solito sacchetto di "portogalli" (arance), speravo di ricevere un mazzo di carte da gioco!




Al pomeriggio della  vigilia arrivò in bicicletta dal paese lo zio Edilio. Depositò sul ripiano della cucina un panettone avvolto nella carta e, in silenzio, osservò, con un accennato sorriso, l'emozione della mia nonna Seta, sua sorella, e mia. Io piluccai qualche uvetta, ma il prezioso dolciume, l'unico delle nostre feste, era destinato alla tavola del pranzo di Natale.
Lui se ne andò verso le quattro, prima che facesse buio ed iniziasse una copiosa nevicata.


A tarda sera, dopo la cena, al momento di andare a dormire, uscii di soppiatto nel corridoio. Lì c'era, ancora intatto, il sacco di farina di granoturco che il Pino mugnaio aveva portato qualche ora prima. In cima, il tanto agognato mazzo di carte!
Nevicava e faceva un gran freddo, che il calore della stufa accesa non riusciva a mitigare. Mi rintanai nel mio letto e sognai una interminabile partita di briscola...

Quel regalo veniva denominato "strenna". Ma noi, immedesimandolo con Colui che ne era artefice, lo chiamavamo "il Gesù Bambino".

(fotografie ©Giada Ottone)




dedicato ad Alessandro



  La prossima finestra del Calendario si aprirà sul blog  Acquadifuoco

mercoledì 21 ottobre 2015

Friuli




Arrivo a Padova appena in tempo per l'inaugurazione della mostra nella stupenda "Sala della Gran Guardia", in Piazza dei Signori. Le opere selezionate  sono quelle del concorso "Il Sigillo", dedicato al 1915.

Padova, Palazzo della Gran Guardia
Giada si è piazzata al settimo posto a pari merito con l'illustrazione "Il riposo dei soldati".



Il mattino dopo partenza, in treno,  per il Friuli.

Era la sera del 6 maggio 1976, prestavo il servizio militare, e mi trovavo a cena con un amico in una pizzeria del centro, a Trento. Sentimmo un tremendo boato, corremmo fuori in strada, inseguiti da un giovanissimo cameriere che, non essendosi reso conto della situazione, temeva volessimo scappare senza pagare il conto. Era il terremoto.
 Non facemmo in tempo ad avere paura, tutto tornò normale in pochi istanti. Sentimmo in televisione che l'epicentro era nella zona di Gemona, in Friuli, ma che un bilancio non poteva essere fornito, perché la zona era isolata e non raggiungibile.
Bilancio che fu terribile, fatto di morti e di distruzioni oltre l'immaginabile.
Il resto appartiene, indelebile, alla Storia : la grande forza della gente friulana che ricostruì e dei tantissimi soldati che diedero un contributo formidabile e, a mio parere, insostituibile.


Gemona, Duomo di S. Maria Assunta
E' con questi pensieri, con queste emozioni, che arrivo a Gemona del Friuli e, dalla stazione, salgo a piedi verso il Centro.
Quel Duomo, ridotto a un cumulo di rovine, è perfettamente ricostruito tale e quale era prima. Nella sua maestà e con a fianco l'imponente campanile.

Un museo documenta in modo puntuale le fasi della distruzione e della ricostruzione.

Gemona, Duomo di S.Maria Assunta

Anche il paese di Venzone è rinato, ed è un autentico gioiello, con il riedificato Duomo dedicato a Sant'Andrea Apostolo, gli edifici, i negozi, il Museo.

Venzone, Cappella di San Michele

Arrivato ad Udine, scopro che una linea ferroviaria collega il capoluogo con Cividale. Salgo subito in treno e, nel poco tempo a disposizione, posso ammirare l'antichissimo duomo, riedificato nel '500, e che racchiude opere di Palma il Giovane ed Amalteo.

Cividale del Friuli, Duomo

A Palmanova visito le vestigia antiche di questa città fortezza, di forma poligonale, ricca di storia e di testimonianze antiche.

Palmanova, ponte dell'acquedotto veneziano a fianco di Porta Udine

L'ultima tappa, l'ultimo duomo (con la pala d'altare di Paolo Veronese)  a Latisana.

Latisana, Chiesa di San Giovanni Battista

A questo punto è giunto il momento di tornare a casa. 

venerdì 18 settembre 2015

Da Quarona a Ghemme, il percorso di Panacea.



Era, Panacea, una ragazza di Quarona dedita alla preghiera, alla conduzione del gregge, ed alle buone azioni. Quando la sua mamma morì, suo padre ebbe un'altra sposa. Ma la matrigna odiava Panacea. Le imponeva i lavori più umili, le fatiche più improbe, e la maltrattava.
Un giorno la sorprese in preghiera nella vetusta chiesa di San Giovanni al Monte e, in un impeto di follia, la uccise con un fuso. Poi si tolse lei stessa la vita, precipitando in un baratro.
Le campane rintoccarono da sole a distesa e, quando la gente accorse, avvennero fatti miracolosi.



Le spoglie di Panacea furono composte su di un carro trainato da due giovenche. Dopo un lungo tragitto il veicolo si fermò a Ghemme, dove era sepolta la sua mamma.


Nel 1867, Panacea de' Muzzi  (1368 - 1383) venne proclamata Beata.
Da secoli si svolge a Ghemme , ai primi di maggio, la Festa in suo onore. E grande è, sempre, la partecipazione di folla.


Mi aggregai anch'io, quell'anno, con la mia "biciclettina", a mio nonno ed ai miei zii. Ci unimmo a molti altri uomini del paese che si recavano in bici alla festa della "Beata". Avevo compiuto da poco otto anni, ma nessuno dubitava che ce l'avrei fatta. Non per nulla ero il nipote di un campione di ciclismo di prima della guerra!


Nella grande Chiesa la funzione  durò ore ed il lunghissimo  "Panegirico" fu ascoltato con grande attenzione. Anche se era sostanzialmente uguale a quello degli altri anni. Tutti amavano riascoltare la storia della Beata Panacea.
Lo zio Edilio, fratello di mia nonna Seta, si mosse a pietà e mi condusse fuori, in giro per il paese. Feci, così, la scoperta dei "baracconi", dello zucchero filato, dei negozi ambulanti di giocattoli, delle giostre e del tiro a segno. Sgranai gli occhi, di fronte all'imponente Castello.
Quando la cerimonia finì, varcammo un portone e ci sedemmo ad una lunga tavola imbandita, dove divorammo risotto, bollito e gorgonzola. Gustai anch'io il vino delle colline di Ghemme, straordinariamente buono.
Venne l'ora di ripartire : bisognava tornare in tempo per "governare la stalla" ed accudire le mucche. Giunti alla discesa del Piano Rosa, chi si sentiva malfermo sui pedali, per aver bevuto qualche bicchiere di troppo, scese di bicicletta ed affrontò a piedi le curve  sinuose dell'ultimo tragitto.

Correva, veloce, l'anno millenovecentocinquantanove.      

lunedì 17 agosto 2015

Metà consigli e metà soldi.






Quella sera, mio padre mi chiese di accompagnarlo: " Domani mattina portano Luisin, il mio coscritto, al Sanatorio. Andiamo a salutarlo, da vivo non tornerà più".
Traversammo i prati ed una roggia, entrammo a casa sua dalla porta di dietro.
Dentro, c'era Luisin, con accanto la moglie ed i figli, ed un po' di gente e di parenti.
Tutti davano consigli a quest'uomo rassegnato e sconfitto. Come fare per tirare grandi i figli, accudire le mucche, irrigare i prati, campare pagando le tasse. Quelle, in effetti, già allora c'erano.


Ad un certo punto lui non ne potè più e, col poco fiato che aveva ancora, urlò :"Ragazzi, metà consigli e metà soldi!".  Perché i consigli, senza il danaro per realizzarli, non servivano a niente.
Tutti se ne andarono, perché non c'era più nulla da fare e da dire.




Parecchi anni dopo, contro tutte le previsioni, Luisin ritornò a casa.  Sosteneva di essere guarito, ma era  solo l'ombra dell'uomo forte e vigoroso di prima.
Stava tutto il giorno seduto all'ingresso della stalla e malediceva quella guerra che gli aveva distrutto i polmoni. Alla sera aiutava a mungere le mucche e, poi, cenava con una scodella di cavulca, latte macchiato con qualche goccia di vino.
Fece in tempo a vedere i figli crescere, trovare lavoro, sposarsi.
Ma gli anni fuggono via veloci come il vento, e, quando la campana della chiesetta di San Pietro suonò, tutti capirono  che era per lui.

Mio padre

Di quella classe 1913 decimata dalla guerra, dalle malattie, dalle fatiche del lavoro nei campi, restò soltanto più mio padre.

Fino al due di settembre del millenovecentoottantacinque .

lunedì 13 luglio 2015

Rorà : il Grande Frassino e premi vinti.

E' una passeggiata di tre chilometri quella che conduce, tra i boschi, dal paese valdese di Rorà fino  a 1200 metri di altitudine.  Qui c'è, il "Grande Frassino", secondo per dimensioni solo a quello di Moncenisio.






Lungo il percorso, tra fiori montani, mirtilli, lamponi, ciliegioli selvatici, si aggrega una capretta , sbucata all'improvviso da un pascolo vicino.




Nel pomeriggio, a Rorà,  partecipo alla premiazione del Premio  "Myo - Sotis":


 Qui, Giada è stata premiata  con  Attestato di Merito  per  il suo dipinto "Pruni in Fiore".


Pruni in fiore
olio su cartone telato, cm 40x30 (anno 2010)

Nella sezione  "Racconti", un Attestato di Merito è stato attribuito  ad un mio racconto,  che, se volete, potete leggere QUI

mercoledì 1 luglio 2015

San Vito al Tagliamento, in Friuli

Del mio primo soggiorno in Friuli, nel '75, ricordo i dipinti  dell'Amalteo  nei duomi e nelle chiese, il Cabernet di Maniago, Sequals, il paese di Carnera, le casette tutte uguali di Vajont, i campanili altissimi.

Ero militare a Trento quando, una sera del Settantasei, udimmo un tremendo boato. Eravamo  in pizzeria, uscimmo in strada trafelati, inseguiti da un giovanissimo cameriere che, equivocando, sospettava non volessimo pagare il conto.
L'epicentro di quel terremoto che percepii a distanza era in  Friuli dove interi paesi furono rasi al suolo ed i lutti furono tantissimi.
Sappiamo come quel popolo ferito ma fiero ricostruì ogni edificio pietra su pietra, casa su casa.
Andrò, forse un giorno, a Gemona a vedere il duomo rifatto tale e quale.



Raggiungo ora San Vito al Tagliamento che è mezzogiorno passato, ed il cielo minaccia la pioggia che puntuale arriverà.  Le mura, le torri, il Tagliamento sono fin più belli sotto la pioggia battente.
Mi rifugio nelle chiesetta di Santa Maria dei Battuti dove eccelle l'arte di Pomponio Amalteo. Attraverso di corsa la piazza per entrare in Duomo dove operò il Bellunello.




Esco da un buon ristorante e mi incammino a vedere le mostre in  Castello ed in San Lorenzo, mentre spunta, tra le nubi,  un primo pallido  sole.


Qui a San Vito, Giada ha ottenuto il 2° posto al Premio Grafite 2015.Eccovi l'illustrazione premiata, dal titolo "Il vecchio e la Fata", ispirata ad una fiaba di "Le mille e una notte".


mercoledì 10 giugno 2015

Una vita racchiusa in un soffio di vento.


 (foto di Roberto)

Ci era vissuto, in quella casa diroccata, il Barcaiolo, che traghettava, per il compenso di qualche soldo, merci  masserizie e persone da una riva all'altra del torrente dalle acque allora impetuose.


Nel dopoguerra l'aveva abitata il  Much  (Monco), che sembrava avere un braccio solo. La sua scelta fu avveduta. Quell'edificio male in arnese era di tanti proprietari diversi, alcuni emigrati in Francia o in Argentina. Impossibile che si trovassero tutti d'accordo per cacciarlo via!

Indossava quasi sempre una tonaca, avuta in regalo da un qualche prete che si era mosso a pietà.
Indumento ideale per nascondere quell'arto che doveva apparire mancante. Ogni tanto, però, trovava  lavoro da manovale , ed allora spuntava, d'incanto, anche quell'altro braccio. Ma solo fino ad opera ultimata.



Si allontanava spesso per mesi. Quando tornava , passavamo la sera a spiarlo. Se ne accorgeva subito, ma, nonostante il brutto carattere, ci lasciava stare perché eravamo soltanto ragazzi. ( "In matai" = sono bambini !).

Un giorno svanì. Sospinto forse da un soffio di vento verso orizzonti infiniti.

Una vita inutile, che quasi più nessuno ricorda?
E' possibile. Però anche quest'anno quella "sua" robinia è fiorita soltanto per lui.

(foto di Giada)

(foto di Roberto)

(foto di Roberto)

venerdì 8 maggio 2015

La vigna dei "Dinuni".



Mio padre era felice quando saliva a lavorare nella  vigna in vetta alla collina dei Dinuni.
Quella era la sua occupazione preferita.


Il tempo volava e, poco prima dei rintocchi della campana che segnalavano  mezzogiorno, mia nonna Seta, appostata nel prato del Cios,  sotto la Madonna della Neve, volgeva lo sguardo all'insù e gridava a squarciagola : "Gaudenziu, ven bas!"  (Gaudenzio, scendi giù!).
Perché erano anni di povertà , ancora vicini alla guerra Mondiale, però  distanti dal Progresso che doveva arrivare. Ma un rito era sacro: a mezzogiorno in punto tutti dovevano essere a tavola.
C'era il risotto con le verdure, il salame cotto insieme alle patate, l'insalata selvatica raccolta nel campo.



Ad ottobre inoltrato, pochi giorni prima della vendemmia, gli adulti sistemavano insieme la strada, perché potessero transitare  le mucche con il carro. Se non era giorno di scuola, ci andavo anch'io, a fare incetta di argilla che serviva per i miei giochi.
Non mi impaurivano le vipere che, già mezze addormentate, "ascoltavano" l'ultimo timido sole d'autunno.

Col passare degli anni, le robinie soppiantarono i vigneti, che, uno ad uno, vennero abbandonati.
Accompagnai mio padre il giorno in cui decise di tagliare, con il pianto nel cuore, i tralci di  quell'ultima vigna.
Quell'uomo che sembrava non dover invecchiare mai, cominciò da allora a sentirsi vecchio.  Coltivava l'amarezza di chi ha perso la propria battaglia.



Finchè campò, non smise di tenere l'altra vigna, quella della Baraggetta, che produceva un vino meno buono. Aveva però, tra i filari, piante di fico e di pesco selvatico dai dolcissimi frutti.
C'era anche una "gamba" di Verdea, una uva strana di cui ero ghiotto.
 E, siccome il passo di mio padre si faceva stanco, si dovette per forza sostituire le mucche con il trattore.  

venerdì 24 aprile 2015

Meraviglioso Piemonte: i Ciciu

Sono andato a vederli quasi due anni fa, ho sgranato gli occhi dalla meraviglia, perché nessuna foto, nessuna immagine aveva saputo  rendere  perfettamente lo spettacolo  che mi si presentava davanti agli occhi.



Grandi ed ineguagliabili opere di quella impareggiabile artista che è Madre Natura, formate quando ancora l' orbe terracqueo viveva l'era glaciale.


Meraviglioso Piemonte, meravigliosa provincia di Cuneo! 

sabato 11 aprile 2015

Mostra personale di Giada a Borgomanero - 11/17 aprile


Borgomanero, Parco Comunale lungo il torrente Agogna



Giada espone le sue opere recenti nella Sala Espositiva del Palazzo Tornielli, sede del Municipio di Borgomanero.


Eccovi una panoramica della mostra.


Giada accanto alla sua opera "Princess", grafite su carta.