venerdì 14 marzo 2014

Novanta anni fa

Il dottor Brau (Bravo) arrivava in calesse, col suo elegante vestito di velluto che indossava tutto l'anno, qualunque fosse la stagione. Soccorreva ricchi e poveracci.
Raramente saliva nella camera dell'ammalato, lo ascoltava dal cortile e, ripartendo, gridava la sua solita ricetta : "Dag de l'oli!", dagli dell'olio, di ricino o di fegato di merluzzo che fosse.
Quella mattina di febbraio però, visitò accuratamente Gaudenzio (il mio futuro papà) e pronunciò un responso che lasciava pochissimo scampo.  Era la scarlattina, una malattia allora quasi sempre mortale.
Non c'era un rimedio, bisognava aspettare la fine della quarantena.
Mia nonna curò il figlio a modo suo, prima di tutto col vino bianco, molto zuccherino, della collina dei Dinuni.
Si recò poi da una vicina, la Ngiulina, che generosamente aprì uno per volta i cassetti di un armadio, dove l'uva, in una sorta di sotto vuoto "ante litteram", si conservava fino a primavera inoltrata.
Gli altri anni l'uva  veniva venduta al mercato il venerdì di Pasqua, ma quella volta serviva a sostentare quel bimbo molto malato.

Strani rimedi, oggi sarebbero una pazzia, ma,  in quei tempi di povertà, funzionarono.
Passati sessanta giorni, Gaudenzio fu dichiarato guarito. Il ragazzone di cento e passa chili che era, ne pesava sì e no trenta, ma il morbo era vinto.

Non ho mai conosciuto quel dottore, troppi decenni  hanno separato il calpestio dei nostri passi...

Ho incontrato spesso, invece, da bambino, la Ngiulina, la vecchietta che tornava a casa con il cesto  colmo di "patasciola", la cicoria selvatica con cui nutriva le sue galline.
Si fermava a parlare, e mi lodava sempre perché, ancora bambino, facevo già i discorsi dei grandi.
Non mi fece mai cenno di questa storia. Però se il ragazzo Gaudenzio non fosse campato, grazie anche alla sua uva, molti anni dopo "quel" bimbo Costantino mai sarebbe venuto al mondo.


Piantando le barbatelle
china su carta di Giada Ottone