Nel mio paesello la scuola era grande, circondata da un amplissimo cortile.
Gli alunni erano pochi, con una sola maestra, che insegnava a tutte le classi assieme.
Era inevitabile che le lezioni fossero, ogni anno, eguali, sia in prima classe, sia in seconda, sia in terza.
Dalla finestra scorgevo, proprio all'estremo lembo del cortile, un arbusto di pruno selvatico.
Aumentavano gradualmente di dimensione, assumevano colore, sempre più scuro con il declinare della primavera verso l'estate.
Ai primi di giugno, però, le lezioni ultimavano; il cancello della scuola veniva sprangato ed io, a bocca asciutta, cominciavo le vacanze.
Quei frutti maturavano col caldo della piena estate, a scuola chiusa, e non ho mai potuto gustarli.
Frutti aspri di un alberello spinoso.
Mi allontanavo mesto, con una insaziata acquolina in bocca.
"E' molto studioso, preferisce la scuola alla vacanza" diceva la gente vedendomi triste, ed è un'etichetta che, a sessant'anni, mi porto ancora appresso, immeritata.
Anch'io, invece, gradivo correre per prati e campi, popolare le rogge di barchette di carta, inseguire libellule e maggiolini, cogliere pesche e cetrioli.
Ero triste soltanto perchè, neppure quell'anno, ero riuscito nel mio intento.
Tutto questo per pochi, piccoli, aspri frutti di un pruno selvatico.
Oggi l'edificio della scuola è diventato un circolo ricreativo, ed al posto del pruno c'è un gioco delle bocce.